SENTENZA PENALE STRANIERA RICONOSCIMENTO IN ITALIA
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Il solo requisito della cittadinanza è bastevole per il riconoscimento di una sentenza penale straniera, indipendentemente dal fatto che uno non risieda più da anni in Italia. Cerchiamo di capire come si effettua il riconoscimento delle sentenze penali straniere in Italia.
Articolo a cura dell‘Avvocato Bertaggia di Ferrara.
SENTENZA PENALE STRANIERA RICONOSCIMENTO IN ITALIA: LA CASSAZIONE
“Cassazione penale sez. VI 06/12/2013 n. 50616″
Il riconoscimento in Italia della sentenza penale straniera risulta ammissibile anche laddove il reo non risieda più nel territorio italiano, dovendosi fare riferimento – ai fini della delimitazione della giurisdizione del giudice nazionale al di fuori dello ‘spazio giudiziario europeo‘, al solo criterio della cittadinanza.
In ambito di sentenza penale straniera riconoscimento Italia, e di reciproco riconoscimento sentenze penali, un pluripregiudicato aveva visto applicarsi dalla Corte d’appello l’aggravante soggettiva della recidiva in seguito al riconoscimento di una sentenza penale straniera, emessa dal Tribunale distrettuale del New Jersey per il reato di associazione a delinquere finalizzata alla detenzione e allo spaccio di stupefacenti. Difatti, a ben guardare, va anche premesso che non esiste, nell’ambito dei rapporti di cooperazione giudiziaria penale tra Italia e Stati Uniti d’America, uno strumento pattizio di regolamentazione della materia, che avrebbe altrimenti postulato l’applicazione dell’art. 731 c.p.p.: sono, dunque, propriamente le previsioni dell’art. 730 c.p.p., a trovare applicazione nel caso di specie. Ciò posto, il primo canone ermeneutico che si impone nell’interpretazione della legge è quello letterale, secondo quanto stabilito dall’art. 12 preleggi, comma 1, a mente del quale “nell’applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore“, ma nel caso di specie, sempre in ambito di sentenza penale straniera, occorre prendere atto che la previsione in esame (“sentenza… pronunciata all’estero nei confronti di cittadini italiani o di stranieri o di apolidi residenti nello Stato ovvero di persone sottoposte a procedimento penale nello Stato“) non si presta ad interpretazione ictu oculi piana e dirimente. L’uso in sequenza delle disgiunzioni “o” e “ovvero” non permette, infatti, di escludere che le definizioni di “residenti nello Stato” e di “persone sottoposte a procedimento penale nello Stato” si riferiscano in maniera non equivoca alle sole categorie degli stranieri e degli apolidi e non anche a quella categoria dei cittadini italiani.
E’ proprio il ricorso a previsioni contenute in “materie analoghe” che consente di stabilire un ambito di applicazione della norma coerente con altri istituti dell’ordinamento penale e processuale penale. Ai fini dell’identificazione delle materie analoghe vale, infatti, in primo luogo ricordare che l’art. 730 si colloca nel Libro XI del codice di procedura penale, quello cioè dedicato ai rapporti con le autorità giurisdizionali straniere ed in particolare alle materie dell’estradizione (Titolo II), delle rogatorie internazionali (Titolo III) e per l’appunto degli effetti della sentenza penale straniera, nonchè dell’esecuzione all’estero di sentenze penali italiane (Titolo IV). E’ dunque di palese evidenza che le materie analoghe a quelle delineate dal codice sono quelle in cui l’ordinamento nazionale si coordina con altri ordinamenti per mezzo dei consueti strumenti normativi di cooperazione internazionale costituiti dai trattati, bilaterali o multilaterali e delle convenzioni internazionali oppure si integra con detti ordinamenti nell’ambito di spazi giuridici particolari, come lo Spazio Europeo di libertà, sicurezza e giustizia, quale definito dal Titolo V del vigente TFUE – Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea per mezzo degli atti normativi dell’Unione Europea in tema di cooperazione giudiziaria penale (convenzioni, decisioni – quadro e decisioni nel recente passato e sotto il vigore del previgente Trattato sulla Unione Europea ed oggi solo direttive, in base all’art. 82 TFUE quale risultante a seguito del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007, in vigore dal 1 gennaio 2009). Orbene, la prima considerazione che viene in rilievo è che nei rapporti internazionali su base bilaterale o multilaterale in materia penale, il criterio della cittadinanza ha da sempre svolto e continua a svolgere un ruolo centrale per dirimere i dubbi concernenti l’ambito di estensione della giurisdizione delle parti contraenti; in altri termini, è ancora in base al criterio della cittadinanza che si dirime la gran parte dei potenziali conflitti di giurisdizione tra Stati sovrani, soprattutto in ambito di sentenza penale straniera.
Rimanendo ad es. ai rapporti bilaterali Italia – USA, l’art. 111 del Trattato di estradizione sottoscritto a Roma il 13 ottobre 1983 ed entrato in vigore il 24 settembre 1984, riconosce la facoltà per la Parte richiesta di concedere l’estradizione anche per un reato commesso al di fuori del territorio della Parte richiedente, alla duplice condizione che le sue leggi prevedano la punibilità di tale reato (c.d. criterio della doppia punibilità) e che l’estradando sia cittadino dello Stato della Parte richiedente. Il trattato in questione (non modificato sul punto dallo Strumento contemplato dall’art. 3 dell’Accordo di estradizione tra gli Stati Uniti d’America e l’Unione Europea firmato il 25 giugno 2003, in relazione all’applicazione del Trattato di estradizione tra il Governo degli Stati Uniti d’America e il Governo della Repubblica italiana firmato il 13 ottobre 1983, sottoscritto a Roma il 3 maggio 2006′ e ratificato con L. 16 marzo 2009, n. 25) rappresenta oltre tutto già un’evoluzione dello schema dei trattati di estradizione più risalenti nel tempo, dal momento che l’art. 4, espressamente prevede che la Parte richiesta non può rifiutare l’estradizione di una persona solo perchè questa è cittadina della parte richiesta.
Risulta ad es. evidente la novità rispetto alla temporalmente antecedente Convenzione Europea di Estradizione sottoscritta a Parigi il 13 dicembre 1957 e ratificata con L. 30 gennaio 1963, n. 300, il cui art. 6, par. 1 prevede come principio generale che gli Stati contraenti mantengono la facoltà di rifiutare l’estradizione dei propri cittadini ed i cui effetti appaiono solo limitati dall’affermazione dell’altro principio, progressivamente affermatosi nei rapporti internazionali, dell’obbligo in tal caso di procedere penalmente contro il proprio cittadino (principio dell’aut dedere aut judicare) espressamente stabilito dallo stesso art. 6, par. 2 (“Se la parte richiesta non proceda all’estradizione del proprio cittadino essa dovrà, su domanda della Parte richiedente, sottoporre la questione alle autorità competenti onde consentire l’instaurazione, se del caso, di procedimenti giudiziari“). Su base multilaterale in tema di sentenza penale straniera, si può ricordare la Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata transnazionale sottoscritta nel corso della Conferenza di Palermo del 12-15 dicembre 2000, il cui art. 15 stabilisce che per adottare le misure necessarie a determinare la propria giurisdizione in relazione ai reati oggetto della Convenzione, ogni Stato Parte fa riferimento a vari criteri, tra cui quello della commissione del reato ad opera di un proprio cittadino nonchè di un apolide che abbia la propria residenza abituale nel territorio di quello Stato (par. 2, lett. b).
Il criterio della cittadinanza funge, dunque, da elemento di caratterizzazione della natura e della qualità dei rapporti di cooperazione tra le giurisdizioni dei singoli Stati, posto che da sempre esso rappresenta uno degli elementi che definiscono l’ambito di estensione della giurisdizione statale, delimitata com’è noto dai due limiti costituiti dal territorio (ambito spaziale, v. art. 3 c.p.; art. 4 c.p., comma 2; art. 6 c.p.) e della cittadinanza (ambito personale), intesa sia come condizione soggettiva per l’applicazione extraterritoriale della legge nazionale (art. 7 c.p., n. 4, e art. 9 c.p.) sia come uno dei requisiti (cittadinanza della persona offesa) per la punibilità dello straniero per delitto comune commesso all’estero (art. 10 c.p., comma 1).
SENTENZA PENALE STRANIERA, RICONOSCIMENTO E MANDATO D’ARRESTO EUROPEO
Il mandato d’arresto Europeo rappresenta l’antesignano di simili strumenti, la relativa introduzione essendo stata deliberata dal Consiglio GAI del 30 novembre 2000, venendo successivamente istituito con Decisione Quadro 2002/584/CEE, attuata nell’ordinamento interno con legge n. 69 del 22 aprile 2005. Così ad es. l’art. 4 n. 6 della Decisione Quadro 2002/584/CEE parifica il criterio della residenza e della dimora, peraltro riferita ai cittadini degli altri Stati dell’Unione Europea, a quello della cittadinanza dello Stato richiesto, ai fini della rilevanza come motivo, solo facoltativo, di rifiuto alla consegna. E’ noto, altresì, come la L. n. 69 del 2005, abbia stabilito una regolamentazione della materia talora in contrasto con il dettato formale e con la filosofia della disciplina Europea, tanto che solo la c.d. interpretazione conforme delle sue previsioni rispetto alla Decisione Quadro ha consentito l’operatività anche in Italia di tale importante strumento di cooperazione giudiziaria in materia penale per il riconoscimento della sentenza penale straniera (per la giurisprudenza delle Sezioni Unite si richiama la sentenza n. 4614 del 30/01/2007, Ramoci, Rv. 235348; per quella di questa sezione, v. ex plurimis sez. 6 sent. n. 34355 del 26/09/ 2005, Ilie Petre, Rv. 232053). La differente rilevanza che la normativa interna attribuisce al criterio della cittadinanza nazionale rispetto alla disciplina Europea è, del resto, ben illustrato dalla vicenda della L. 22 aprile 2005, n. 69, art. 18 lett. r), che ha previsto quale motivo di rifiuto della consegna da parte dell’Italia la qualità di cittadino italiano della persona richiesta, ma com’è noto tale distonia è stata eliminata per effetto della sentenza della Corte Costituzionale n. 227 del 24 giugno 2010, la quale ha stabilito che possa fungere da motivo di rifiuto alla consegna della persona richiesta la sua condizione di cittadino di un altro Paese membro dell’Unione Europea che legittimamente ed effettivamente abbia residenza o dimora nel territorio italiano.
La menzione di tale vicenda vale a confermare la tendenziale perdita di rilevanza della cittadinanza (nazionale) quale criterio specificante la natura e le modalità di cooperazione tra le giurisdizioni degli Stati interessati, membri dell’Unione Europea e facenti parte del c.d. spazio giudiziario Europeo, ma non la sua scomparsa. Il requisito della cittadinanza nazionale riacquista, infatti, rilevanza, proprio in tema di reciproco riconoscimento delle sentenze penali che irrogano pene detentive o misure privative della libertà personale ai fini della loro esecuzione nel territorio dell’Unione Europea.
Sempre in ambito di sentenza penale straniera riconoscimento Italia, l’art. 5 (Condizioni di emissione) par. 3 del D.Lgs. 7 settembre 2010, n. 161, che ha attuato nell’ordinamento interno la Decisione Quadro 2008/909/GAI relativa all’applicazione del principio del reciproco riconoscimento di tali sentenze, stabilisce invero che la trasmissione all’estero (delle sentenze penali, del certificato del casellario giudiziale e della documentazione rilevante) è disposta: a) verso lo Stato membro dell’Unione Europea di cittadinanza della persona condannata in cui quest’ultima vive; b) verso lo Stato membro dell’Unione Europea di cittadinanza della persona condannata in cui quest’ultima sarà espulsa, una volta dispensata dall’esecuzione della pena o della misura di sicurezza, a motivo di un ordine di espulsione o di allontanamento inserito nella sentenza di condanna o in una decisione giudiziaria o amministrativa o in qualsiasi altro provvedimento adottato in seguito alla sentenza di condanna; c) verso lo Stato membro dell’Unione Europea che ha acconsentito alla trasmissione (cioè che abbia espresso il consenso a riceverla). Il criterio della cittadinanza nazionale mantiene, invece, piena la sua valenza nel rapporto tra ordinamenti nazionali impostati su base bilaterale o convenzionale, che si collocano cioè al di fuori di ambiti di integrazione anche politica tra gli stessi. Ai fini della soluzione della questione in esame, il rilievo preminente del criterio della cittadinanza nazionale impone, a giudizio di questo collegio, di dare valore assoluto al riferimento normativo che l’art. 730 c.p.p., fa di tale condizione soggettiva, nel senso di risultare applicabile a tutti i cittadini italiani, a prescindere dal luogo della loro residenza o dalla circostanza della loro sottoposizione a procedimento penale in Italia. Nè è dato rinvenire nella norma o individuare quale argomento di interpretazione sistematica della medesima quello, propugnato dal ricorrente, della concreta utilità processuale dell’espletanda procedura giurisdizionale, rappresentando infatti l’art. 730 c.p.p., uno degli istituti presenti nell’ordinamento volti a delimitare l’ambito soggettivo di estensione della giurisdizione penale dello Stato.
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Articolo aggiornato al 06 Marzo 2023