PRIVACY RISERVATEZZA DIRITTO OBLIO
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Riservatezza. Articolo a cura dello Studio Legale Avvocato Bertaggia di Ferrara.
1. Riservatezza, il diritto di cronaca e il diritto all’oblio.
Il diritto di cronaca, come espressione della libertà di informazione, si estrinseca nella libertà di dare e divulgare notizie, opinioni e commenti. La Corte di Cassazione, nella sentenza “decalogo” n. 5259 del 18 ottobre 1984, ha enumerato con chiarezza i limiti in cui deve essere esercitato il diritto di cronaca per essere considerato legittimo.
Tra i limiti sanciti dalla Suprema Corte, quali l’utilità sociale dell’informazione, la verità dei fatti narrati e la forma civile dell’esposizione, assume rilievo fondamentale l’attualità della notizia. A ben vedere, infatti, una notizia che non sia attuale al periodo in cui viene riportata non è certamente in grado di soddisfare il diritto del lettore a ricevere una puntuale e completa informazione, ed in questo modo verrebbe altresì a mancare il requisito fondamentale dell’utilità sociale dell’informazione: il carattere dell’utilità sociale può essere riconosciuto all’attività informativa solo laddove questa possa soddisfare un interesse attuale del pubblico alla conoscenza della notizia.
Negli ultimi anni è emerso il bisogno di garantire un’informazione al pubblico che rispettasse quest’ultimo particolare criterio, per evitare che si verificassero intromissioni nella sfera privata delle persone in grado di provocare lesioni all’immagine, all’onore e alla reputazione, in riferimento a fatti di cronaca ormai superati e quindi non più d’attualità.
In merito a questa tematica, la giurisprudenza ha elaborato il “diritto all’oblio“, una peculiare proiezione del diritto alla riservatezza, il quale andrebbe inteso come “giusto interesse di ogni persona a non restare indeterminatamente esposta ai danni ulteriori che arreca al suo onore e alla sua reputazione la reiterata pubblicazione di una notizia in passato legittimamente divulgata” (Cass. Civ., sez. III, n. 3679 del 9 aprile 1998).
Naturalmente vi sono episodi che meritano di essere riproposti dalla letteratura anche in momenti decisamente successivi al loro verificarsi, e ciò per l’evidente motivazione che costituiscono memoria storica per le future generazione. Tuttavia spesso accade che notizie di cronaca non più attuali, e quindi non più di interesse per il pubblico, vengano riproposte, esponendo nuovamente i soggetti coinvolti a situazioni spiacevoli, lesive della propria riservatezza.
Particolare è senza dubbio il caso di chi, coinvolto a suo tempo in un procedimento penale e successivamente prosciolto, continua a rintracciare articoli di giornale pubblicati sui siti internet delle testate giornalistiche, schedate e memorizzate in un archivio, che riportano solamente i fatti lesivi della propria reputazione in riferimento ai fatti processuali predetti, senza riuscire però a trovare altrettante fonti in cui venga riportata la conclusione della vicenda giudiziaria a suo favore. In questo modo qualsiasi utente sia in grado di accedere a questo articolo online sarà informato solamente in modo parziale sulla vicenda, e nel pubblico dei lettori continuerà a diffondersi un’opinione negativa sulla reputazione della persona coinvolta e nominata dei vari articoli.
2. La sentenza n. 5525 del 5 aprile 2012 della Corte di Cassazione, sez. III civile.
A tal proposito si è pronunciata la Corte di Cassazione, con una recente ed innovativa sentenza, la n. 5525 del 5 aprile 2012, secondo la quale “emerge […] la necessità, a salvaguardia dell’attuale identità sociale del soggetto cui la stessa afferisce, di garantire al medesimo la contestualizzazione e l’aggiornamento della notizia già di cronaca che lo riguarda, e cioè il collegamento della notizia ad altre informazioni successivamente pubblicate concernenti l’evoluzione della vicenda, che possano completare o financo radicalmente mutare il quadro evincentesi dalla notizia originaria, a fortiori se trattasi di fatti oggetto di vicenda giudiziaria“. Al soggetto coinvolto nella vicenda spetterebbe quindi “un diritto di controllo a tutela della proiezione dinamica dei propri dati e della propria immagine sociale, che può tradursi, anche quando trattasi di notizia vera – e a fortiori se di cronaca – nella pretesa alla contestualizzazione e aggiornamento della notizia, e se del caso, avuto riguardo alla finalità della conservazione nell’archivio e all’interesse che la sottende, financo alla relativa cancellazione“.
In riferimento all’ambito della rete internet la Corte precisa che “non si pone […] un problema di pubblicazione o di ripubblicazione dell’informazione, quanto bensì di permanenza della medesima nella memoria della rete internet e, a monte, nell’archivio del titolare del sito sorgente“.
Come si è detto in premessa, questo tipo di notizia pubblicata sul sito web di un testata giornalistica, non può essere in grado di soddisfare l’interesse del pubblico, perché non rispondente alla verità attuale dei fatti. Ciò viene ribadito anche dalla Cassazione, secondo cui “se […] l’interesse pubblico alla persistente conoscenza di un fatto avvenuto in epoca […] anteriore trova giustificazione nell’attività […] svolta dal soggetto titolare dei dati, e tale vicenda ha registrato una successiva evoluzione, dalla informazione in ordine a quest’ultima non può invero prescindersi, giacché altrimenti la notizia, originariamente completa e vera, diviene non aggiornata, risultando quindi parziale e non esatta, e pertanto sostanzialmente non vera. Se vera, esatta ed aggiornata essa era al momento del relativo trattamento quale notizia di cronaca, e come tale ha costituito oggetto di trattamento, il suo successivo spostamento in altro archivio di diverso scopo (nel caso, archivio storico) con memorizzazione anche nella rete internet deve essere allora realizzato con modalità tali da consentire alla medesima di continuare a mantenere i suindicati caratteri di verità ed esattezza, e conseguentemente di liceità e correttezza, mediante il relativo aggiornamento e contestualizzazione.”
Dunque, in buona sostanza, in questi casi è necessario che il titolare dell’organo di informazione provveda all’aggiornamento con il metodo più adeguato, per evitare ulteriori lesioni del diritto alla riservatezza del soggetto danneggiato dalla pubblicazione dell’articolo.
3. La tutela prevista nel Codice in materia di protezione dei dati personali.
Nel caso in cui un soggetto si senta danneggiato da un illecito trattamento dei dati personali con conseguente lesione del proprio diritto alla riservatezza da parte, per esempio, di una testata giornalistica, come nel caso di cui si è discusso, i rimedi a cui si può far ricorso sono molteplici.
Ai sensi dell’art. 141 del D. Lgs 196/2003 (Codice in materia di protezione dei dati personali) l’interessato può rivolgersi al Garante per la protezione dei dati personali mediante reclamo o segnalazione. Può essere inoltre esperito un ricorso al Garante qualora si intenda far valere i diritti specifici di cui all’art. 7 del Codice, tra i quali si colloca il diritto dell’interessato all’aggiornamento, alla rettificazione, all’integrazione, alla cancellazione o al blocco dei dati trattati.
Alternativamente al ricorso al Garante è possibile esperire ricorso all’autorità giudiziaria.
4. Il profilo risarcitorio.
L’art. 15 del Codice in materia di protezione dei dati personali afferma che “Chiunque cagiona danno ad altri per effetto del trattamento di dati personali è tenuto al risarcimento ai sensi dell’articolo 2050 del codice civile.“. Inoltre, il danno non patrimoniale è risarcibile anche in presenza di una violazione dell’art. 11 del D. Lgs 196/2003, secondo il quale i dati personali oggetto di trattamento devono essere esatti e, se necessario, aggiornati.
Dunque, per concludere, in caso di violazione del diritto alla riservatezza, è possibile chiedere un risarcimento del danno subìto al giudice ordinario, sia per un danno patrimoniale che per un danno non patrimoniale, il quale, è opportuno ricordare, è risarcibile nei soli casi previsti dalla legge. A tal proposito, la Cassazione include l’illecito trattamento dei dati personali tra i casi in cui si configura la risarcibilità del danno non patrimoniale (Cass. Civ. SS.UU. n. 26972 dell’11 novembre 2008).
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Articolo aggiornato al 18 Febbraio 2015