ESTEROVESTIZIONE: INTERPRETAZIONE E LEGITTIMITA’
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Esterovestizione: interpretazione e legittimità.
Articolo a cura dell‘Avvocato Bertaggia di Ferrara.
ESTEROVESTIZIONE: INTERPRETAZIONE E LEGITTIMITA’: LE PREMESSE GENERALI
La questione dell’esterovestizione si riferisce alla pratica di alcune società di posizionare artificiosamente la propria sede fiscale all’estero, mirando a beneficiare di regimi fiscali più favorevoli rispetto a quelli del proprio paese di reale operatività. Questa manovra evasiva si scontra con il principio della tassazione globale, secondo il quale i redditi prodotti in qualsiasi parte del mondo dovrebbero essere tassati nel paese di residenza del soggetto.
Le entità che adottano questa strategia creano strutture estere solo sulla carta, mantenendo in realtà la gestione e le decisioni strategiche nel loro paese di origine, in questo caso l’Italia.
Abbiamo già analizzato e sviscerato in più occasione le questioni rilevanti ai fini dell’esterovestizione societaria, delle LTD e delle società bulgare (fra le società più diffuse-per i pochi costi- per creare strutture fittizie, inutili e dannose), ora, stante una recente Ordinanza della Suiprema Corte Italiana, precisamente l’Ordinanza n. 26538 dell’8 settembre 2022, approfondiremo ulteriormente il concetto, anche per fornire agli imprenditori che desiderino costituire una società estera per usarla, realmente, a fini di ottimizzazione e di decremento fiscale, degli spunti attuali e sicuri per portare a compimento il loro progetto imprenditoriale.
La finzione di esterovestizione impedisce l’applicazione delle norme fiscali nazionali, permettendo alle società di eludere il pagamento delle tasse e causando una riduzione delle entrate per lo stato.
Per contrastare queste pratiche, il legislatore italiano ha introdotto una presunzione legale di residenza fiscale in Italia per le entità che dimostrano specifici legami con il territorio italiano, come il controllo su società residenti o la prevalenza di soci o amministratori residenti in Italia. Questa presunzione si applica non solo nei casi di controllo diretto ma anche quando esistono catene di controllo che includono più entità estere interposte.
Proprio al fine di arginare questa pratica, la legge prevede il comma 5-bis all’art. 73 del TUIR, introducendo una c.d. “presunzione legale di esterovestizione”.
In particolare, è stata prevista una presunzione legale relativa di localizzazione in Italia della sede dell’amministrazione per quelle persone giuridiche che presentano i seguenti elementi di collegamento con il territorio dello Stato italiano: i) controllo di società o enti residenti in Italia; ii) presenza di soci di controllo o amministratori in prevalenza residenti in Italia.
L’obiettivo è prevenire la costituzione di sedi societarie all’estero che siano solo nominali, mantenendo invece la sostanza operativa e decisionale in Italia, che purtroppo è ciò che gli imprenditori mal consigliati o sprovveduti, normalmente fanno: “la tua ltd chiavi in mano pacchetto completo” avendo come conseguenze solo problemi multe e processi.
Questo approccio mira a svelare e regolamentare le situazioni in cui la collocazione estera della sede è puramente formale, senza influenzare coloro che hanno una legittima presenza societaria all’estero.
La distinzione tra le norme citate si focalizza sulla natura del legame tra le società e il territorio italiano, differenziando tra la mera connessione fisica e l’interazione effettiva tra entità separate. Questo approccio consente all’amministrazione fiscale di contestare l’esterovestizione indipendentemente dai benefici fiscali ottenuti dall’entità all’estero o dalla genuinità della sua presenza in tale stato.
La verifica delle motivazioni dietro le pretese fiscali diventa quindi cruciale, distinguendo tra le varie basi legali per l’applicazione delle norme tributarie.
Diviene altresì essenziale non solo affidarsi a dei reali professionisti in materia societaria, ma anche seguire i loro consigli che, essenzialmente si riducono ad un concetto basilare: “vuoi risparmiare sulle imposte? vai all’estero sul serio e non fingendo“.
ESTEROVESTIZIONE: LA LIBERTA’ DI STABILIMENTO
Abbiamo già diffusamente parlato di esterovestizione e libertà di stabilimento: leggi l’articolo qui. L’esterovestizione diventa abusiva (in un senso ampio del termine, lontano dall’idea di abuso di diritto) quando mira primariamente a conseguire un beneficio fiscale incompatibile con le finalità delle normative fiscali, evidenziato da elementi concreti che dimostrano come l’obiettivo principale dell’operazione sia proprio l’ottenimento di tale beneficio, tramite mezzi illeciti e fraudolenti.
È fondamentale sottolineare che i contribuenti hanno la libertà di gestire i propri affari in modo da minimizzare il carico fiscale, senza che nessuno possa eccepire nulla.
In questo contesto, le indagini dell’Amministrazione fiscale su presunte frodi di società che adottano pratiche di esterovestizione devono necessariamente considerare il principio di libertà di stabilimento, sancito nel diritto dell’Unione Europea (articolo 54 del TFUE).
Questo principio permette ai cittadini di uno Stato membro di stabilirsi in un altro Stato membro per svolgere attività economiche, quindi la decisione di una società di costituirsi in un paese estero per beneficiare di una normativa fiscale più favorevole non costituisce di per sé un abuso di questa libertà.
Facendo riferimento ai criteri stabiliti dalla Corte di Giustizia nell’importante sentenza Cadbury Schweppes (C-196/04), la giurisprudenza ha ripetutamente confermato che è legittimo per i contribuenti scegliere di localizzare le proprie imprese in paesi che offrano vantaggi fiscali, purché vi sia un’effettiva attività economica svolta in quei paesi.
Per stabilimento si intende l’esercizio reale e attivo di un’attività economica, da parte di un’entità stabilita in modo duraturo e concreto in un altro Stato membro. Di conseguenza, l’Amministrazione fiscale può legittimamente contestare l’esterovestizione e imporre limitazioni alla libertà di stabilimento solo quando si evidenziano azioni volte a creare situazioni puramente fittizie, prive di sostanza economica, con lo scopo di evadere le tasse sugli utili realizzati nel territorio nazionale.
In caso contrario, se l’attività all’estero risulta essere sostenuta da una reale presenza economica e dimostrabile attraverso elementi tangibili come locali, personale e attrezzature verificabili, non si può parlare di un’artificiosa localizzazione all’estero.